La Corte di Cassazione, con
sentenza n. 40143 dell'11 ottobre 2012, ha dichiarato inammissibile il ricorso
proposto da un medico avverso la sentenza della Corte d'Appello che,
confermando la sentenza del giudice di prime cure, lo aveva dichiarato
colpevole del reato di violenza
sessuale perché, "in violazione dei doveri connessi alla funzione
di medico incaricato di effettuare la visita fiscale ad una lavoratrice presso
il suo domicilio, approfittando della sorpresa della vittima e della fiducia
riposta in ragione del ruolo, con violenza (consistita nell'appoggiare
terminata la visita medica una mano dietro la schiena della vittima chiedendole
dove avesse dolore, nel massaggiarle il fondoschiena ed i fianchi fino alla
parte bassa del ventre, nonché nello strofinarsi sul corpo della donna,
nonostante le proteste della stessa, che a più riprese tentava di baciare) la
costringeva a subire atti sessuali".
La Suprema Corte - ricordando che per costante
giurisprudenza, è ben possibile che il giudice tragga il proprio convincimento
circa la responsabilità dell'imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia
sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la
necessità di applicare le regole
probatorie di cui all'art. 192, c. 3 e 4 c.p.p., le quali richiedono la
presenza di riscontri esterni - afferma che "facendo applicazione del
principio sopra richiamato, la sentenza impugnata ha evidenziato come le
dichiarazioni rese dalla persona offesa siano risultate chiare e precise nella
complessiva dichiarazione dei fatti, nonché logiche e coerenti e prive di
elementi di incertezza, valutandone la coerenza interna ed escludendo qualsiasi
motivo di rancore nei confronti dell'imputato dal momento che in occasione del
controllo fiscale, il medico aveva confermato lo stato di malattia e
l'inidoneità della donna a riprendere il lavoro, con una prognosi di sette
giorni".
Confermata,
dunque, la condanna ad un anno e otto mesi di reclusione per il medico.
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